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Settegiorni. Tremonti, Scalfari, De Bortoli e il Tg2 di Mario Adinolfi

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E’ il momento del giro d’orizzonte in sette punti del vicedirettore di Red e grande blogger, membro della direzione nazionale del Partito Democratico e sostenitore della mozione Franceschini al congresso. Il «siluro» de “il Giornale” che stamattina svela una lettera compromissoria, rispetto all’integrità berlusconiana, del ministro Tremonti rivelandone le ambizioni di successione, apre la rubrica di oggi di Adinolfi. E’ un momento di grande tensione per il nostro Paese. Lo dimostra anche il confronto-scontro a distanza tra il fondatore di “Repubblica” e il direttore del “Corriere”, che giustifica agli occhi del premier la linea del proprio giornale prendendo le distanze dagli attacchi «faziosi» che si capisce attribuisca, tra gli altri, alla stessa “Repubblica”. Scalfari risponde segnalando che la deriva che sta prendendo la democrazia italiana è tale e grave, e i giornali italiani dovrebbero avere il coraggio di quelli esteri nel denunciarla. Su questo punti due e tre. Poi tuttodalema: l’intervista «simpatizzante» di Diego Bianchi, i sostegni da destra a Bersani-D’Alema, le domande che «avrei fatto» all’ex presidente del Consiglio al posto di Zoro e, infine, un duro affondo all’ex segretario del Pds. Buona lettura.

Nella foto, Mario Adinolfi

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di MARIO ADINOLFI

1. Il Giornale oggi pubblica in prima pagina un siluro sotto forma di scoop nei confronti di Giulio Tremonti. Una lettera di invito a un convegno Aspen a porte chiuse per “costruire il dopo e creare una leadership basata su un consenso non solo immediato e mediatico”, firmata dal ministro dell’Economia che è anche presidente del prestigioso istituto, ha mandato su tutte le furie Silvio Berlusconi. Vittorio Feltri spara la foto di Tremonti in prima pagina, pubblica il testo della lettera, racconta l’irritazione del presidente del Consiglio. E il messaggio a Tremonti passa forte e chiaro: non ci provare nemmeno. Il dopo Berlusconi? Il dopo Berlusconi non esiste.

2. Non c’è niente da fare, la battaglia politica non esiste più, non si fa più nelle aule parlamentari e meno che mai nelle sezioni di partito. Per appassionarsi a qualcosa bisogna seguire il vero luogo del conflitto politico: le pagine dei giornali. Prendete lo scontro tra Eugenio Scalfari e Ferruccio De Bortoli. Finalmente una guerra tra bande motivata anche da qualche idea di fondo e non solo da meri interessi.

3. Di mezzo ci si è messo il Tg1 che ha appaltato ai giornali della famiglia Angelucci la bastonatura di Scalfari che ha osato criticare penne-basse De Bortoli. Una dichiarazione di Antonio Polito e una di Maurizio Belpietro. Tutti e due contro Scalfari, ma bipartisan. Bipartisan, ma un solo padrone. E il servizio equilibrato è fatto.

4. E veniamo alle questioni del nostro cortiletto: un po’ di web, un po’ di Pd. In tempi non sospetti proprio qui s’è scritto che il programma “Orzo” condotto da Diego Bianchi è diventato il migliore programma televisivo che si occupa di politica. Il problema è che il mio amico e collega Zoro tifa in maniera sfegatata per Bersani e dunque le sue due interviste, quella a Bersani stesso questa estate e quella a Massimo D’Alema ieri, sono state classiche interviste a leader di riferimento. Simpatizzanti, diciamo.

5. Capisco che davanti al suo mito Massimo D’Alema il mio amico Diego Bianchi fosse felice di fargli da spalla. Ma magari poteva fargli anche qualche domanda. Tipo: come mai Latorre ha detto che se D’Alema avesse parlato alla Convenzione al posto di Bersani le cose sarebbero andate diversamente? E’ così impellente il bisogno di mettere il cappello sulla candidatura dell’ex ministro? E’ imbarazzato dal sostegno che a Bersani arriva da Bossi, Calderoli, Gasparri, Brunetta e da qualsiasi berlusconiano vivente, compreso l’ultimo iscritto di ieri alla mozione dalemiana, Giuliano Ferrara? E’ d’accordo con lo stesso Ferrara che motiva il sostegno a Bersani con il fatto che l’ex ministro sarebbe a favore della restaurazione dell’immunità per i politici, mentre Franceschini no?

6. Ma le domande che Zoro non ha fatto e che io avrei fatto a D’Alema in tutto sono sette. Perché vuole cancellare le primarie come ripete anche il suo amico Luciano Violante? In sostanza: perché vuole trasformare il Pd in Pds? Non faceva prima a opporsi alla nascita del Partito democratico? Non crede di essere molto lontano dallo spirito con cui il popolo democratico si sta avvicinando a queste primarie?

7. Ecco, fossi stato in Diego Bianchi avrei posto queste domande. Non le ha poste. Non avrebbero fatto fare a D’Alema simpatica figura. Lo avrebbero reso nero, com’era domenica mentre la platea dei delegati bersaniani inondava di applausi il discorso di Franceschini. Che bene fa a dire, come dirà stasera alle Iene nella prima intervista tripla ai candidati, che avere D’Alema sul groppone rende la candidatura Bersani di indigeribilità incommensurabile per il popolo democratico. Questa dell’indogeribilità incommensurabile l’ho aggiunta io. Ho copiato la frase dalemiana di sabato quando, intervistato dal Riformista, ha assegnato sobriamente al suo candidato una “credibilità incommensurabile” rispetto a quella dell’attuale segretario. Ecco, un D’Alema che prima insulta platealmente e poi fa l’aggredito perché Franceschini dal palco ha difeso le primarie, davvero scende a una dimensione di meschinità di cui proprio non lo credevo capace. Ne ho stima, nonostante tutto. Non lo credevo capace di vittimismo. Ma quando ho visto ieri l’intervista apparecchiata con Giorgio Saba al Tg2, in cui la domanda del giornalista era costruita in maniera incredibile per far sembrare D’Alema vittima di un’aggressione franceschiniana, ho capito che quella del vittimismo è una strategia, non un errore casuale. Una strategia meschina. Non alla sua altezza.

MARIO ADINOLFI


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